di Maria Grazia Di Mario
Non si può non parlare del Covid 19 e dei cambiamenti provocati all’interno della nostra società, con un attore come Massimo Dapporto (Milano, 8 agosto 1945) che ha interpretato ruoli ben ancorati al presente: tra i più recenti lo ricordiamo nelle straordinarie interpretazioni di “Falcone – L’uomo che sfidò Cosa Nostra” e nei panni di “Mister Ignis – l’operaio che fondò un Impero”, o nelle vesti di prete, poliziotto, medico, in serie Tv di successo quali Distretto di Polizia, il Commissario, Un prete tra noi, Amico mio. I suoi sono tutti ruoli di personaggi legati alla realtà sociale, ruoli da duro, fin dal primo debutto in Soldati 365, all’alba (per la regia di Marco Risi) nel quale è il tenente Armando Fili, un fanatico della disciplina militare. Voce profonda, aspetto autorevole che potrebbe intimidire e invece Massimo Dapporto ha, nei toni e nelle battute, una sottile ironia che ricorda quella del papà Carlo e la gentilezza di chi “non se la tira per nulla”, pur avendo conquistato una storicità di attore. “Ho faticato molto per guadagnare un nome – ci racconta – perché tutti all’inizio mi identificavano con il papà, è il figlio di Dapporto dicevano ed io rispondevo, ‘ma ho un nome, mi chiamo Massimo!’”. Dal Teatro, alla tv, al cinema, al doppiaggio, di gavetta ne ha fatta molta, sempre con senso di responsabilità e senza chiedere favori. Il lavoro di attore è la vera passione e la tristezza più grande sarà quella di non poter festeggiare, a gennaio, i 50 anni di professione a causa del Covid 19, offrendo e ricevendo… la sua presenza su un palco.
E’ stato di recente a teatro con un Borghese piccolo piccolo, quanto e come questa opera racconta se stesso e il presente storico che stiamo vivendo?
“Un borghese piccolo piccolo è stato scritto da Vincenzo Cerami a metà degli Anni Settanta, covid a parte e facciamo finta che non ci sia neanche adesso, da allora tutto il resto è rimasto uguale. Dalla metà degli Anni Settanta ad oggi i vizi e i difetti degli italiani sono rimasti gli stessi. Io che ho vissuto quel periodo, nel Settanta avevo 25 anni, ho il ricordo di come ci si comportava, di come era la vita, e non vi trovo alcuna differenza, a parte le scoperte scientifiche e che improvvisamente siamo tutti col cellulare in mano, a parte il tablet, internet, le cose moralmente non sono cambiate in Italia, anzi, l’immoralità è diventata più organizzata, il malaffare si è evoluto a livello molto più professionistico. Io mi sono trovato benissimo in questo personaggio. Alcune volte mi attribuiscono delle grandi interpretazioni invece sono assolutamente spontaneo, sono me stesso. Grande performance può essere nell’Avvento, in Shakespeare, Enrico IV, Riccardo III, ma altre nascono nella semplicità, sono senza tanti orpelli, senza tanti studi sulla recitazione che vanno fatti quando servono. Trovandosi alle prese con una storia così semplice e tragica come quella di un borghese piccolo piccolo, ci si lascia andare alla verità della parola, all’interpretazione il più semplice possibile perché il pubblico non si senta escluso, ma entri in partecipazione con gli attori e con quello che sta succedendo sul palcoscenico. E’ stato un lavoro molto fortunato, il viaggio con Un borghese piccolo piccolo è andato avanti tre anni, grazie al passaparola e alle richieste di replica”.
Questa pandemia ha sottolineato il venir meno dei valori reali nella società italiana, che ha portato a speculazioni, malaffare e disorganizzazione.
“Direi di sì. Si diceva, il Covid ci cambierà tutti, miglioreremo, non è vero, siamo peggiorati, basta andare per strada e vedere come corrono le macchine, siamo più tesi, sospettosi, con un atteggiamento da sceriffi nei confronti del prossimo. Se ti scende un po’ la mascherina c’è subito chi dice con nervosismo, ‘guardi che ha il naso di fuori’, cosa che a me non accade, sono un pauroso dunque sto molto, ma molto attento, però riconosco lo scollamento sociale che c’è tra le persone, ognuno sembra pensare ‘mors tua, vita mea’. Purtroppo la situazione sta degenerando, credo dovremo tornare ad avere delle precauzioni forti, è stata un po’ una follia liberare improvvisamente le persone dalle loro case, permettere gli assembramenti, le feste, è da incoscienti, tanti che sono stati colpiti da questa malattia sono innocenti, nel senso di sfortunati, ma ce ne sono molti che hanno cercato la disgrazia, andando in giro, fregandosene”.
Viviamo ora gli effetti delle aperture di questa estate per far guadagnare le attività.
“Lo so, un errore non solo italiano, lo hanno fatto in tutto il mondo, ma il risultato è evidente. Eppure già si sapeva ad agosto che, in ottobre o novembre, sarebbe scoppiata di nuovo l’epidemia in maniera virulenta”.
E invece ci sta cogliendo ancora impreparati. Perché i tamponi non sono ancora disponibili per tutti, perché chi ha soldi si può curare meglio e chi non li ha viene abbandonato a se stesso.
“Purtroppo è così, ma questo fa parte della legge della natura umana, nel senso che chi ha soldi non deve fare la fila, ha subito la visita, purtroppo è un gioco al massacro, ci sarà una eliminazione di tante persone che purtroppo non ce la faranno, mica soltanto i poveri, anche i benestanti, però forse riusciranno a cavarsela meglio della classe povera”.
La classe povera soffrirà anche la mancanza del lavoro! Ma secondo lei non è possibile cambiare rotta, come vede questa situazione sia in Italia e nel mondo?
“Dobbiamo tornare a quello che avevamo detto, deciso a marzo, sperando di non infettarci. La spagnola ha fatto così, ha provocato tra i 50 e i 100 milioni di morti, ma eravamo nel secolo scorso e non esistevano le cure che ci sono adesso, però purtroppo nessuno di noi ha la bacchetta magica, fino a che non arriva il vaccino saremo limitati”.
Come sta vivendo questa emergenza la vostra categoria?
“La nostra categoria, quella degli attori, è penalizzata fortemente, non viene consentito (giustamente) di riempire i teatri ma con 200 persone in sala (dal momento che ora non si può più fare spettacolo all’aperto) la produzione non ammortizza, c’è un tariffario che difficilmente si riuscirebbe a rispettare. Qualcuno ha proposto addirittura di organizzare due spettacoli al giorno ma non è che un attore può riuscire a sostenerli, alla fine della prima settimana si ritira, dice, ‘signori, arrivederci e grazie, la mia salute prima di tutto, così non mori de’ Covid, ma mori de stanchezza’”.
Il Governo si sta muovendo giustamente per aiutare il teatro?
“No, è l’ultima ruota del carro l’intrattenimento. Ci stiamo abituando ad avere il nostro svago in tv, la televisione sta assorbendo il nostro tempo libero, nel senso che è meglio mettersi a leggere un libro, scrivere, se si è capaci, dedicare il proprio tempo a cose più importanti, però se si vuole vedere un film al cinema non si può andare e allora si cerca in tv se c’è qualcosa, Rai5 inoltre trasmette anche la prosa. Un discorso diverso nel nostro campo è per il doppiaggio, nei mesi scorsi si erano bloccati completamente e infatti per un periodo hanno mandato in onda i film in lingua originale, ora si può tornare al lavoro perché sono state attivate le norme di sicurezza, per ogni professionista che va a registrare ci sono colonne separate, ognuno doppia il suo personaggio, poi vengono unite le voci. Rimangono grossi rischi per le riprese di cinema ed anche televisive perché se si ammala un tecnico, o un attore, mettono tutti in quarantena e la produzione, se non nasconde il problema, ma sarebbe da incoscienti, si dovrebbe
fermare”.
Dunque è il teatro ad essere il più penalizzato.
“Certamente”.
Riguardo la diffusione del Covid le accuse maggiori sono state rivolte ai giovani, secondo lei le colpe sono da imputare a loro, o ci sono altre responsabilità.
“Diciamo che i giovani hanno un bella fetta di responsabilità, poi esistono gli incoscienti di qualunque età che hanno alimentato questo diffondersi del virus, però è sotto gli occhi di tutti che, con la movida, si sono cercati la malattia e non è che ne siano immuni. Bisogna riconoscere che è anche difficile trattenere un giovane a casa, qualcuno ci sarà riuscito ma la maggior parte sono in giro, sono in molti quelli che se ne fregano, continuano a divertirsi ed escono senza attenzioni”.
Alcuni medici hanno sostenuto, in estate, che il virus era scomparso, o mutato, che non ci sarebbe stata la seconda ondata.
“I medici lo dicono per apparire in tv”.
Come vede il futuro del cinema, teatro e Tv.
“Dipende tutto dalla scoperta del vaccino, vedremo se alla fine dell’anno ci sarà questo benedetto vaccino, qualcuno dovrà sperimentarlo, altrimenti torneremo nel Medioevo e assisteremo ad una moria generale, con quasi 8 miliardi di persone nel mondo! Quando avevo 16 anni nelle sale proiettavano, prima del film, un piccolo documentario, poi c’era la settimana INCOM (cinegiornale italiano), insomma, tra una cosa e l’altra si usciva dopo 3 ore, ricordo che uno di quei documentari riportava la frase “siamo arrivati a 3 miliardi sulla terra!”, sono passati 60 anni e ora siamo ben 8 miliardi…”.
E non è stato fatto nulla per tutelare l’ambiente!
“E chi lo sa come lavora la natura, come lavora chi ci ha creati, può darsi che siamo troppi, può darsi che sarà un repulisti, rimarranno i più forti, i più fortunati, anche i più ricchi che si salveranno grazie a cure che non si possono permettere i più poveri. Siamo nella fantascienza però, capisce? Ci sono tanti aspetti per i quali la popolazione mondiale ad un certo punto dovrebbe diminuire”.
Roma, la nostra capitale e la sua città, il malgoverno è imputabile al presente, o c’è sempre stato un problema nel Governo di Roma?
“Roma intanto, per quanto riguarda la viabilità, è molto trascurata, ogni tanto asfaltano dei pezzi di strada, in genere nelle zone ricche. Io vivo nei Parioli dal ’51 e ho visto crescere il quartiere. Quando sono venuto ad abitare qua, in Via Archimede, una volta alla settimana, sotto casa, passava il pastore con le pecore, e noi ragazzini ci divertivamo a seguire questi pastori. Ricordo che, tornando dalle vacanze, con le pigne che avevamo raccolto facevamo dei falò sui marciapiedi per aprirle, quando racconto questi episodi mi dicono, ma che hai 200 anni? Eppure era così, via Archimede è una via larga senza auto, ma dato che oggi si parcheggia sia a destra che a sinistra, è diventata stretta. Negli Anni Cinquanta era a doppio senso, le macchine transitavano da una parte all’altra. Io abitavo al numero 149, palazzo storico dove Rosellini aveva girato Europa 51, ho cambiato solo palazzina trasferendomi a 80-90 metri di distanza, ormai sono abituato a vivere in questo quartiere, è un quartiere ricco ma con gente che si saluta poco, c’è poca aggregazione, non so perché, forse qualcuno ha da nascondere qualcosa…(ride). Per quanto riguarda Roma nella sua totalità non è che possa giudicare, io conduco una vita riservata, difficilmente vado a manifestazioni, premi, festival, solo se è necessaria la mia presenza. Sono stato al Festival di Venezia perché mi hanno consegnato un Premio alla carriera, ma per il resto sto tanto bene a casa, soprattutto in questo periodo, dunque non posso giudicare. So che c’è una malavita romana ma in questo periodo, per il fatto che le persone sono chiuse negli appartamenti, i furti sono quasi azzerati, per il resto Roma è stata descritta benissimo da Fellini, Fellini ha raccontato tutti gli aspetti vergognosi, il modo di vita dei romani. Io poi in realtà non sono proprio romano, vivo in questa città da quando avevo 5 anni ma sono nato a Milano, però non mi sento assolutamente milanese, ma neppure totalmente romano, è questo il fatto. Mia madre era nata ad Urbino, ha vissuto però tutta la vita a Trieste, dopo il matrimonio, per cui Trieste e Sanremo sono le mie origini, nel dna ho l’ Est e l’Ovest”.
Comunque so che lei ama di Roma l’aspetto storico/artistico.
“Sì, ma non me la sento di giudicare i romani perché ognuno ha una sua storia, c’è il romano sano e il romano malfattore, ma questo accade in tutto il mondo, soltanto che qua, essendo Roma la città più popolosa d’Italia, si trova di tutto. Ci sono vari quartieri, c’è il quartiere ricco, il quartiere povero, il quartiere malfamato, i quartieri vicini alla stazione, quelli più isolati che stanno fuori dal Raccordo Anulare, insomma, Roma si presta a tutto, si è prestata anche ai nascondigli più segreti delle brigate rosse, Roma è un gran casino e nel suo casino, con tutto il rispetto per le case chiuse che non ho mai frequentato, è un miscuglio di cose, di stati d’animo, di caratteri; guardi, veramente Fellini l’ha descritta molto bene e Sorrentino, quando ha rifatto il suo film, l’ha raccontata in maniera più volgare, perché c’è più volgarità oggi di una volta”.
Lei debutta in teatro nel 1971 con le Farfalle sono libere e il teatro percorre tutta la sua carriera, è la forma espressiva che lo rappresenta e che ama di più e quanto ha influito in questa scelta il rapporto con suo padre Carlo, considerando che è tra i più grandi attori di teatro brillante italiano, o ha giocato semplicemente il Dna…
“Come elemento mi trovo meglio con il teatro perché mi dà gratificazioni immediate, col cinema e la tv devi aspettare che esca il film, però c’è da dire che, pur essendo il motore principale della mia vita, devo ringraziare la tv se sono riuscito a fare teatro, a conquistare il primo nome, la tv mi ha dato la popolarità. Il successo sono le qualità che vengono riconosciute, la popolarità sono i numeri, la gente che ti riconosce, la stessa popolarità ce l’hanno i tronisti, se non di più, insomma la tv ha provocato un disastro per quanto riguarda i valori in campo, ma non soltanto per gli attori, per chiunque. Riguardo la decisione di fare questo mestiere l’ho avuta da piccolo, inconsciamente, senz’altro c’entra l’influenza paterna, nel senso che avevamo un attore in famiglia che si divertiva ad inventarsi le sue scenette con me, soprattutto quando ero ragazzino, poi con mio fratello, che è nato 8 anni dopo di me, e mi piaceva davvero molto. Ricordo che andavo a vedere i suoi spettacoli da dietro le quinte, quando avevo 10 anni guardavo le ballerine, mi innamoravo, perché magari una delle più belle mi aveva sorriso e me la facevo sotto dall’emozione. E’ chiaro che, come i miei coetanei, sono andato avanti con gli studi e mi sono iscritto all’università, alla Facoltà di Scienze Politiche, ma lo sentii subito come un ripiego, mi resi conto che avrei perso degli anni e del tempo, preso in giro i miei genitori e me stesso. L’unica decisione (ovviamente non è che sia stata l’unica della vita, perché allora vorrebbe dire che sono un indeciso), la più importante che presi a mente fredda, cosciente delle conseguenze cui potevo andare incontro, fu quella di abbondonare gli studi universitari e presentarmi per l’esame di ammissione ai corsi di recitazione dell’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, non sapendo neanche se mi avrebbero preso, ma andò benissimo, indipendentemente dal fatto che mi chiamassi Dapporto. I signori scrutatori dell’Accademia mio padre lo conoscevano per notorietà, ma non avevano mai avuto contatti, mio padre tantomeno non si sarebbe mai azzardato di raccomandarmi perché non sapeva raccomandare, se lo avesse fatto in Accademia non ci sarei entrato. Sostenni un ottimo esame però, avendo già 25 anni (ero nei limiti ma era già tardi), capii che dovevo fare qualcosa per guadagnare tempo e così, in contemporanea agli studi, dal primo anno iniziai subito a fare provini e a lavorare con piccole parti. Quando andavo in Accademia, a seguire le lezioni, prendevo in giro i compagni di studio, dicendo ‘io sono già un attore professionista e ancora ho due anni da fare…’”.
Quindi molta gavetta e studio.
“Molta!”.
Però il mestiere lo avete nel dna perché poi anche suo figlio, Davide, è regista.
“Sì, è regista e sceneggiatore e scrive molto bene”.
E l’ha anche diretto.
“Mi ha diretto in un paio di suoi corti e in Distretto di Polizia dove lavorava alla regia, una unità era diretta da mio figlio”.
E come è stato, emozionante?
“Non è stato emozionante assolutamente, soprattutto, con i 40 anni di esperienza alle spalle che avevo (ora ne ho 50) la mia attenzione era concentrata nel capire come si muoveva, però non mi sarei mai azzardato di dirgli nulla, soprattutto davanti alla troupe, magari in privato lo avrei fatto, ma non c’è stato bisogno perché è talmente pignolo che addirittura mi ha fatto rifare una scena, un altro padre con un po’ di spocchia avrebbe risposto ‘che cacchio fai, come ti permetti’. Io invece ho detto ok va bene, nel senso che i ruoli erano quelli, non eravamo più padre e figlio, ma regista e attore. Mio padre Carlo, quando gli comunicai che volevo fare l’attore invece ci rimase male, malissimo”.
E perché?
“Perché voleva che avessi un lavoro sicuro, la paga sicura, mentre il nostro mestiere è precario, soprattutto agli inizi, finché non ti fai un nome. Io il nome ce l’avevo, Dapporto, ossia, io avevo il cognome, mi mancava il nome da unire al cognome, dicevano tutti il figlio di Dapporto ed io rispondevo ‘ma io mi chiamo Massimo’, poi alla fine mi hanno riconosciuto quando, grazie alla tv, iniziarono a chiamarmi Massimo Dapporto, prima ero il figlio di Dapporto… sempre”.
La mamma era contenta, oppure era d’accordo col papà?
“Mia madre era contenta, era una donna molto intelligente però mio padre era previdente, sapeva a cosa potevo andare incontro perché lui, prima di riuscire ad avere successo, ha fatto la vera fame, mio padre la sera cenava con un biscotto e un cappuccino, a quel tempo si moriva di fame, dunque sapeva che poteva accadermi la stessa cosa. Io non gli ho mai chiesto soldi, facevo finta, nel periodo della gavetta, di essere povero, mi sosteneva questo pensiero “ho questi soldi, sono stato fortunato perché ho cominciato a lavorare subito in teatro con la paghetta, e poi con il doppiaggio, dunque devo accontentarmi’. Riconosco che sono stato abbastanza fortunato e sono orgoglioso del mio percorso, il 4 gennaio 2020 dovrei festeggiare i 50 anni di attività, peccato che probabilmente li trascorrerò a casa, senza allegria, nel senso che non farò l’attore, fino a che non ci sarà il vaccino, l’unica nostra speranza”.
E invece lei e sua moglie siete contenti che Davide abbia intrapreso la sua stessa strada?
“L’importante nella vita, sia che riesci, sia che non riesci, è fare quello per cui ti senti più portato, trasformare la tua passione nel tuo lavoro”.
Quindi l’avete sempre sostenuto?
“Sì, sì, sempre, soltanto che dovrà aspettare che gli capiti l’occasione buona, gliel’ho anche detto ‘tu hai delle qualità grosse, per cui si tratta solo di aspettare, prima o poi riuscirai”.
Che poi vi somigliate molto, lei, suo figlio e suo padre.
“Abbiamo la stessa fisionomia ed anche la stessa voce”.
Dunque è molto adatta anche al doppiaggio.
“Il doppiaggio di solito decidi di farlo subito, molti partono da ragazzini, ma lui non ci pensa proprio, sarebbe una forzatura”.
Ha ricevuto premi importanti, quali sono i film che le hanno dato maggiore soddisfazione?
“Ho ricevuto il David di Donatello con Mignon è partita e la candidatura agli Emmy per Giovanni Falcone, poi ho vinto insieme a Tognazzi, Ghini, Fantastichini, la Grolla d’oro a Saint Vincent, un bel premio per il cinema, per quanto riguarda il teatro ho avuto diversi riconoscimenti e poi di Telegatti ne ho vinti due”.
Nel suo curriculum ci sono grandi nomi da Risi a Lizzani, a Scola, può accennare un ricordo di questi grandi registi?
“I registi più importanti li ho avuti col cinema, Scola è stato il primo, e pensare che fu un incontro sbagliato, nel senso che non pensavo di incontrare Scola, ma Steno, che avevo conosciuto poco tempo prima. A Scola andai bene per La Famiglia, mi assegnò il ruolo di Giulio, con lui ho imparato i tempi cinematografici che possono favorire la regia e il montaggio. Sembrava un orso e invece era un uomo pieno di attenzioni, lo potevi fregare solo sull’affetto, se capiva che eri una persona che aveva dei sentimenti venivano fuori anche i suoi, è stato un bell’incontro che mi ha cambiato veramente la vita. Subito dopo ho girato Soldati con Marco Risi e mi sono trovato con un coetaneo, si lavorava ma si giocava anche molto, la sera ci divertivamo. Il film fu girato a Padriciano, quartiere di Trieste, dove rimanemmo per parecchio tempo, così strinsi diverse amicizie, insomma, fu un periodo di spensieratezza anche se facevo una parte truce, di un cattivo, però quando finivo di essere il tenente cattivo mi divertivo con Marco, con Claudio Amendola, insomma stavano bene assieme e facevamo grandi mangiate di pesce. Per quanto riguarda la Archibugi ho avuto la fortuna di vincere con lei il David di Donatello, durante le riprese aspettava un bambino ed era coccolata da tutta la troupe, perché era una donna incinta che dirigeva con il pancione, per cui è stato un film pieno di tenerezza, di attenzione nei confronti suoi, ma anche di lei verso Stefania Sandrelli e il gruppo di ragazzi che lavoravano; ricordo poi Citto Maselli con cui ho girato L’Alba, in realtà eravamo solo due in scena, io e Nastassja Kinski, di Maselli mi incuriosiva il modo di muovere la macchina da presa. Siamo diventati amici, quando è possibile ci sentiamo ancora. Lizzani è stato un incontro con un personaggio storico del cinema italiano anche perché se hai una carriera più invecchi e più diventi storico, per cui mi sono trovato con un regista storico che era Lizzani. Era tranquillissimo, ci metteva sotto la macchina da presa e ci osservava, seduto sulla sua sedia, ci poteva dare piccole indicazioni, ma ci faceva star bene per la tranquillità che infondeva a tutti”.
Ha qualche impegno prossimo adesso, oppure aspetta il…vaccino?
“Ho appena finito di girare per Sky, con Marco Pontecorvo, una storia ambientata nel periodo in cui c’è stata la vicenda di quel bambino caduto nel pozzo, Alfredino, a me hanno offerto il ruolo di Pertini, avrei dovuto iniziare dopo l’epifania con il teatro, ma hanno bloccato fino a fine gennaio le prove, dunque non so come andrà. Dovrei avere due spettacoli, con il primo, Ladro di razza, di Gianni Clementi, dovevamo debuttare a febbraio, nel 2020 con Daniele Liotti ne ho un secondo dal titolo Gli Insospettabili, quando si saprà qualcosa, di certo, le darò delle conferme”.
Crede che ci troviamo a vivere in un momento di svolta?
“Certo, vedremo quello che succede, io sono ottimista perché è necessario esserlo, si spera che improvvisamente ti dicano ‘abbiamo il vaccino ed è sicuro’, allora a quel punto ci sarà una gran festa, andremo tutti in piazza senza mascherine, per scoprire che in arrivo c’è un nuovo virus… ”.
intervista effettuata a dicembre 2020