Quanno morirò avrai da scrive…molto” mi disse Nino Manfredi salutandomi

“Quanno morirò  avrai da scrive…molto” mi disse Nino Manfredi salutandomi, e in quella intervista parlò del suo rapporto con Dio, della sua famiglia, dell’infanzia trascorsa a Castro dei Volsci

con questa mia intervista, pubblicata sul Vero e sul Radiocorriere Tv nel 2000, offro a Nino Manfredi un mio personale ricordo, nel centenario dalla nascita e il giorno del suo compleanno (Manfredi nasce il 22 marzo 1921)

di Maria Grazia Di Mario 

Perché dedicare la copertina de Il Vero a Nino Manfredi quando ormai (si sa) i giornali hanno già trovato più che sfogo (uno sfogo da scoup il più delle volte). Lo spiego in poche parole con un semplice appunto che riporto fedelmente e che scrissi uscendo da casa Manfredi, dove Nino viveva con la famiglia, sull’Aventino, a Roma.

“27 ottobre 2000: ho conosciuto Nino Manfredi, non ci sono parole per descrivere il nostro incontro, lo porterò nei miei giorni. Nino mi ha ricevuta nella sua casa sorprendendomi, in primo luogo perché è spuntato dal retro di una libreria ad angolo collocata all’ingresso del salone, poi perché mi ha riconosciuta. ‘Ma noi ce conosciamo – mi ha detto – non ci siamo già visti?’. ‘Io ho visto lei e non viceversa’, ho risposto, per poi ricordarmi che ci eravamo sfiorati alcuni anni prima davanti ad una cabina telefonica. Molti colleghi me ne avevano parlato con diffidenza, attenzione mi avevano detto ‘Nino è uno scorbutico…’ per questo all’inizio ero  un po’ intimidita, ma io ho trovato un uomo del tutto diverso, contento di raccontare se stesso. Finita l’intervista mi ha accompagnata sull’uscio e lì mi ha abbracciata con tenerezza, in quei pochi minuti il tempo si è fermato, neppure il tempo può cancellare la storia e la storia sono personaggi come Nino Manfredi. Dopo l’abbraccio mi sono diretta verso il portone, prima di uscire però ho girato di nuovo il viso e lui era ancora lì, con un gesto della mano mi ha augurato Buona fortuna, poi mi ha lanciato un bacio e gridato ‘Quanno morirò avrai da scrive molto! Avrai molto materiale per il coccodrillo!’.  Però ora ho una sensazione di assenza, perché in quel saluto ho percepito il suo addio alla vita”.

Ed è questa la vera ragione per la quale sto scrivendo questo pezzo.

27 ottobre 2000, sono seduta sul divano di casa Manfredi. Chissà perché Nino, di sua spontanea volontà, inizia a parlarmi del suo rapporto con Dio e della sua infanzia a Castro dei Volsci. Forse perché le dico che vengo da Poggio Mirteto, paesino della Sabina

“Pure io non so’ romano, son nato in Provincia, a Castro Dei Volsci, e nun credo in Dio…Pensa che il Papa mi chiese in dono il film per Grazia Ricevuta, io glielo regalai e lui ce l’ha in Vaticano e lo fa vedere a tutti, e questo m’ha commosso. Ricordo che una volta mi disse a mo’ di battuta ‘Bene, non hai trovato Dio pregherò io per te’. Santità, per carità, gli risposi, con una raccomandazione come la sua vado subito in Paradiso! Me ce vede per l’eternità a cantare le lodi del Signore con l’angioletti? Io voglio andà all’inferno perché c’ho un po’ di reumatismi. Ho un bel rapporto col Papa e l’ho sempre stimato perché è un uomo che soffre molto. L’ultima volta che lo vidi mi disse ‘Ma come non credi ancora, vieni qui’, gli risposi ‘Io credo, credo in questo signore qui, che ha saputo trasformare il dolore in amore”.

E non cerca Dio?

“No, ora non lo cerco più, ho avuto le prove che non esiste. Sono stato ricoverato a 15 anni per tubercolosi bilaterale, allora non cerano antibiotici, non c’era un c…Mi hanno ricoverato una mattina, ricordo che mia madre, che invece era molto religiosa, camminava in ginocchio sul mio sangue, pregando Dio. Sono entrato in sanatorio perché… ‘Tanto non vivrà’, disse il professor Morelli. Mi sistemarono in una stanza per malati terminali, non c’erano cure, ti tagliavano solo tutte le costole per non farti muovere. Io ero tra i più gravi, con me c’era un ragazzo straordinario di 18 anni, era grave anche lui e infatti poco dopo è morto. Sono stato in quel reparto sei mesi ma non mi decidevo a morire,  poi mi trasferirono in una stanza a sei letti e lì ne ho viste di tutti colori. Sai qual è lo scherzo che facevamo? Lo scherzo era la morte”.

In che senso?

“Quando moriva qualcuno gli mettevano attorno un parapetto bianco, noi vi dormivamo almeno una notte, anche perché il medico legale doveva intervenire per gli accertamenti. Lo scherzo che mi fecero quando mi trasferirono in questa sala più grande fu proprio questo: una mattina mi svegliai e vidi un parapetto bianco attorno a me, allora spostai il paravento e chiamai gli amici, ma loro mi passavano vicino e non mi rispondevano, finché non arrivò la caposala gridando ‘Mortacci vostri, sempre con questi scherzi’. Là dentro sono stato tre anni”.

E questa esperienza è stata determinante nel farle capire che Dio…

“Non c’entra nulla, sono stato tre anni là dentro con tutti giovani, i miei compagni che andavano in Chiesa a pregare per la loro guarigione sono morti tutti, invece io che imprecavo tutti i giorni sono arrivato a 80 anni”.

I suoi erano molto religiosi?

“Mio padre non l’ho mai visto in Chiesa però è stato eccezionale, ho avuto due genitori straordinari; certamente mia madre si è dedicata a me e ai miei fratelli in maniera assoluta, poi è diventata arteriosclerotica e quindi non riconosceva più neppure i miei figli (i nipoti). Era adorabile, se me la ricordo me vié da piagne, persone così dovrebbero vive sempre, è una donna che ha vissuto per noi”.

E suo padre…

“Mio padre pure, pensa che il loro è stato un matrimonio combinato…Lei è venuta dall’America che aveva 14 anni, c’era andata a sei anni poi però quando morì il fratello la madre maledisse quella Terra e tornò in Italia, a Castro dei Volsci. Mio nonno vi rimase un altro paio d’anni, in tutto ben 32, è stato lui che m’ha insegnato tutto, anche l’ironia”.

Era ironico?

“Io pensavo spesso ‘Ma tutta questa ironia da chi l’avrò presa?’. Me ne sò accorto quando ormai non c’era più. Ti faccio un esempio: quando noi chiedevamo ‘Ma com’è l’America?’ lui rispondeva ‘Ma chi l’ha vista mai? Non sacciu mancu se ce sta lu sole. Quanno annavo a lavorà isso s’era ancora da ialzà, quando so finito de lavorà isso s’era già curricà’. Andavamo sempre da lui perché eravamo poveri. Aveva una casetta che si era costruita, a due piani, ma non c’era il gabinetto. Io gli dicevo, ‘Ma non c’hai fatto il gabinetto?’, ‘E a che serve’ rispondeva lui, e io ‘A fa la cacca!’. Allora ce pigliava per mano, a me e a mio fratello, ce portava sur terreno e diceva ‘Guardate quanto spazio avete!’. Ci dislocava lui, ci consigliava ‘Questa mattina andate vicino alla vite, che si è un po’ ingiallita, st’altra settimana sotto il pero che sta un po’ infiacchito’. Noi dicevamo sempre ‘Lo sai che a Roma abbiamo il gabinetto?’, ‘Ah! E poi do la buttate? rispondeva lui. E noi spiegavamo ‘Si tira la catena e sparisce tutto’. ‘Eh! è proprio vero, oggi se butta tutto’, ribatteva”.

Gli insegnamenti più grandi che le ha dato suo nonno.

“Mi raccontava cose stupende, incredibili. Era una persona concreta, mi ha insegnato i valori veri”.

Come era il Manfredi bambino?

“Io so nato a Castro su un tavolo d’una cucina, che m’ha fatto nascere mì nonna, che ogni tanto faceva nasce qualcuno, e poi tutti quelli che erano nati la chiamavano mammarella, ed io ero geloso”.

Era molto legato ai nonni…

“Mio nonno è morto di crepacuore, quando non m’ha più visto ha capito che stavo morendo ed è morto, non ci siamo più incontrati. Per un anno gli hanno inventato che non andavo bene a scuola, era credibile perché nun andavo bene, sì perché non m’andava per niente, c’avevo tutta un’altra…Io mi inventavo cose incredibili”.

Quali?

“Mi costruivo il monopattino, inventavo tutti i giochi”.

Il suo vero nome è Saturnino.

“Che era il nome del mio nonno paterno, che non ho mai conosciuto e del Santo del paese, così mi chiamavano tutti, anche il professore al Liceo, contrariamente agli altri, tutti per cognome”.

Si esibiva tra i banchi di scuola?

“Certamente. Ricordo che un giorno mi incavolai per questa storia del nome (anche perché al professore spesso si univa in coro anche tutta la classe)… e gli feci uno scherzo, lui però poi mi scrisse una cosa terribile. Quel giorno gli risposi ‘Non mi chiamo mica Saturnino, io sono Giuseppe Garibaldi’. ‘Ah’, disse lui, ‘sei Giuseppe Garibaldi?’, ed io ‘No, mi sono sbagliato, sono Giuseppe Mazzini’. Mi ha cacciato al terzo ginnasio con la dizione ‘Non adatto agli studi perché d’intelligenza inferiore alla media’. Però ho continuato da privatista e addirittura mi sono laureato in Giurisprudenza, altrimenti mio padre non mi avrebbe permesso di entrare in Accademia, e invece fin da bambino volevo fare l’attore. Mio padre voleva per me un futuro meno difficile, era molto protettivo in generale, specie dopo la malattia ”.

Poi il lavoro dell’attore non era così ben visto.

“Eh, avvocato era un’altra cosa! Io comunque devo molto a mio padre, senza il suo aiuto non avrei potuto neanche diventare attore. Sia io che mio fratello, ad esempio, non riuscivamo a pronunciare la r, ma lui, con santa pazienza, tutti i  giorni ci diceva rrrrrrrr ”.

Ha vissuto un’infanzia serena…

“Sì, poi mio fratello me l’ha rovinata perché al terzo ginnasio, quando mi hanno bocciato, mi hanno messo di banco vicino a lui, pé fammé vergogna…”.

Era studioso.

“A me me bocciavano, invece lui ha saltato tutte le classi. Si è laureato in medicina. Io quando mi laureai ebbi fortuna, soprattutto feci ride parecchio. Quando andai a discutere la tesi di laurea dissi che mi ero dovuto laureare altrimenti mio padre non mi avrebbe permesso di frequentare l’Accademia, i relatori, che non sapevano nemmeno cosa fosse, mi chiesero spiegazioni, poi vollero che mostrassi loro qualcosa. Dopo l’esibizione il Rettore disse ‘Io gli darei un bel 90’ mentre il professor Papi, che mi aveva bocciato una volta in diritto amministrativo, aggiunse, ‘Anche un 92, perché non ho mai riso così tanto”.

Anche quand’era piccolino sognava di fare attore?

“Lo facevo! Mi ricordo che una volta  a Castro dei Volsci, dove sono nato, presi delle coperte rosse, le portai in cantina e ne feci un sipario, mi esibivo coi compagni, inventavo tutto, con la mamma che si arrabbiava perché ogni volta le portavo via le copertine. Inoltre dato che, uscito dal Sanatorio, non potevo giocare con gli altri bambini, andavo in parrocchia in Via Cassia e facevo teatro, all’epoca era permesso solo ai maschi ed io mi divertivo ad imitare le ragazzine. Mi truccavano, sembravo una mignottona, pensa che un giorno arrivò per caso Campanini e mi propose di lavorare per lui, mi voleva scritturare. Sono arrivato al cinema per caso. Un giorno un caro amico, Franco Giacobini, mi chiese di accompagnarlo in Accademia, io non sapevo cosa fosse, però dato che sentivo sempre mio padre dire che siccome non c’avevo voglia de studià l’unica soluzione era di mandarmi in Accademia militare allora lo accompagnai per curiosità, dissi tra me e me ‘Vediamo un po’ com’è st’Accademia’. Quando arrivammo capii subito che quella non era l’Accademia militare ma l’Accademia D’Arte Drammatica. Lì ci consegnarono due fogli, in realtà si doveva presentare solo il mio amico ma io per istinto riempii il foglio lo stesso, però non lo dissi a nessuno tanto pensai Nun mi chiameranno di certo! Su 200-300 persone ne selezionarono solo 20 ed io capitai tra i primi! Tra i primi! Non te dico poi! Mia madre contenta!”.

Poi arrivò Gassman…

“ Gassman era uscito fuori un paio d’anni prima e me prese lui, a me! Veniva sempre a vedere gli esami che facevamo, mi chiamò mentre frequentavo il secondo anno e mi fece smettere, venne in Accademia a scegliere gli attori che gli servivano e scelse me, Buazzelli, Squarzina e Salce”.

Quindi ha avuto successo subito…

“Ricordo che al provino ero talmente emozionato che alla lettura del copione non aprii bocca, i presenti dissero ‘Ma chi voi prende, se nun apre bocca!’ E lui rispose, ‘La apre, la apre! Ma quando la apre lo fa nel modo giusto’. Pensa che lui nun voleva fa l’attore, l’ha costretto la madre, che un po’ come mia madre avrebbe voluto fa l’attrice pure lei”.

Quindi sua madre è stata contenta!

“Certo, da subito, però anche mio padre, che non voleva, scoprii poi che andava a propormi a mia insaputa. Ho avuto dei genitori stupendi, soprattutto mio padre mi ha veramente messo alla prova, non aveva soldi, era un brigadiere di pubblica sicurezza, però c’ha fatto studià al Collegio Santa Maria, si è sacrificato in maniera incredibile , ci ha insegnato i veri valori della vita”.

E quali sono i valori più grandi trasmessi?

“Bé, quelli ch’avemo già detto non sono dei valori? Quanno mia madre gli disse ‘Ma faglie fa quello che gli pare a sto ragazzino’, lui rispose ‘Va bé ma a una condizione , se deve laureà’. Se non fosse stato per lui non avrei potuto fare l’attore. Lui mi ha insegnato tutto, dalle famose rrrr (promettendo di comperarmi il motorino che poi non mi ha comperato, che era un po’ come il motorino di adesso). Mi ha dato grandi insegnamenti, pensa che fumava le Nazionali perché costavano meno, le tagliava in tre parti e le metteva dentro il bocchino, per farle durare più a lungo.Ma il vero genio resta comunque il nonno da parte materna, un vero genio, te voglio fa vedé na’ cosa, vedi questa foto, questa è mia madre, e questo è mio nonno che se sta a costruì la casetta da solo, mattone su mattone (quella senza gabinetto), quanno guardo le foto me vengono le lacrime agli occhi”.

Cosa ricorda del periodo (anni ’50) nel quale è diventato famoso?

“Lavoravo molto, ma ero sicuro, da subito non ho avuto problemi sul palco, alla prima interpretazione con Gassman ero l’unico ad avere l’applauso a scena aperta”.

Quali sono i personaggi che le sono rimasti più impressi?

“Gassman a parte, Vittorio Sordi e Tognazzi, che mi invidiavano come attore (bonariamente) perché passavo con facilità da un ruolo ad un altro. D’altra parte ho frequentato l’Accademia e avuto maestri come Eduardo. Ricordo che una volta De Filippo mi disse ‘Se voi puoi diventare l’attore più importante in Italia (io impallidii) perché tu hai l’anima, parli con lo sguardo’”.

A quali interpretazioni è più legato?

“A tutte. Vedo che oggi vanno per la maggiore attori poco duttili, per la difficoltà poteva essere (semmai) quella di passare da un Geppetto a Brutti, sporchi e cattivi, che sono cose diverse, ma chi lo fa più? Ricordo che quando chiesi a Comencini ‘Perché hai scelto un giovane per fare Geppetto che devi truccà da vecchio!’, lui rispose ‘Sei l’unico attore che po’ parlà con un pezzo di legno’. Per fare Geppetto ho studiato i comportamenti dei vecchi nel giardino degli aranci, ma capii come lo dovevo interpretare osservando una bambina mentre parlava col suo bambolotto, grazie a lei compresi che dovevo comportarmi con Pinocchio nello stesso modo. Ho capito tutto, pensai, ora posso fà Geppetto, e così me la baciai e scappai via”.

Il segreto è…

“Aver studiato ed osservare la realtà, è basilare la preparazione ma guai a non avere esperienze di vita, io per esempio comunico molto con la gente che mi insegna un sacco di cose. Non posso uscì da casa, me fermano tutti, se fa la fila! Che devo fa? Certo c’è il rovescio della medaglia perché io adesso nun posso andà manco a teatro. Quelli che me commuovono sono i regazzini”.

Anche suo figlio ha seguito le sue orme.

“Sì, però sta facendo diverse cose. Lui frequentava Medicina per curar se stesso”.

In che senso?

“Perché era colpito spesso da cose stupide (raffreddamenti vari.), poi però si è stancato subito e così gli ho fatto fà l’attore, era bravissimo ma ha scelto la regia. Giovanna, l’ultima figlia, era di una bellezza straordinaria, mi sarebbe piaciuto saperla attrice, però a lei non importava nulla tanto che un giorno, vista la mia insistenza, era ancora ragazzina, mi disse ‘Va bé, quanto me dai?’, ed io le risposi ‘Quanto vuoi, ti vanno bene 100mila al giorno?’. E così accettò, ma subito mi disse ‘Papà non me ne frega niente’ e si defilò. E’ diventata stilista, ancora oggi mi regala i pantaloni! Alla primogenita, Roberta, ho fatto fare con me la commedia Viva gli sposi, però poi ha subito smesso”.

Con i figli ha messo in pratica gli insegnamenti dei genitori?

“Sì, poi uno deve pensà che quando si sta con una moglie da 45 anni, dal ‘55”.

Qual è il segreto della vostra unione.

“Ho trovato la donna giusta, e pensa che l’incontro è stato combinato, me la presentarono volutamente e lei mi disse ‘No’ per ben due volte’, perché aveva alle spalle una brutta esperienza, la terza volta si dichiarò lei. In passato ero stato innamorato di Jolanda, una prostituta che mi salvò la vita dai tedeschi”.

Quali sono state le donne più importanti della vita.

“Mia nonna, mia madre, Jolanda e Erminia. Io volevo sposare Jolanda ma lei rifiutò, disse ‘Non mettiamo insieme le nostre disgrazie’. Ci incontrammo in modo strano: io stavo frequentando una scuola di recupero, un giorno arrivarono i tedeschi e fecero una retata, io riuscii a fuggire e mi infilai in un portone in Via Cimarra, salita una rampa di scale mi trovai di fronte una ragazza in vestaglia che si stava laccando le unghie. Lei, poverina, era diventata una prostituta, dopo aver perso figlio e fidanzato. I tedeschi arrivarono ma grazie a Jolanda non mi scoprirono, quando se ne andarono ed uscii tremante dall’armadio mi disse ‘Perché non sei in guerra?’, io le risposi ‘Perché sono malato’. Da quel momento si prese cura di me con una dedizione incredibile. Mi ero innamorato talmente! Poi un giorno la moglie di un collega mi presentò Erminia, era di una bellezza straordinaria ed è una donna eccezionale”.

La famiglia è al primo posto?

“Sempre. Ho anche sette nipoti”.

Non crede di non aver avuto i riconoscimenti che merita?

“E a noi nun ce ne frega gniente”.

Author: Maria Grazia Di Mario